SENTIMENTALISMI VIDEOLUDICI
E FUORI TEMA ASSORTITI
(di Alessandro "Gizmo" Gori)
"C'è
una favola di mago, che sta in un vaso, con la moglie e con la
figlia, stragrande meraviglia! Basta fargli uno starnuto, si
precipita in aiuto, prima mette fuori il naso e poi la
pancia…"
Sembra essere diventato parecchio trendy fra noi nati nell'ultima
metà degli anni '70 riascoltare le vecchie sigle dei cartoni
animati.
Con le voci caricaturali dei cantanti, che ci richiamano alla
mente merende a base di pane e crema bigusto-disgusto, case di
carta & Vinavil, nonché odore di Vicks sui maglioni e
strisciate di moccio sulle maniche degli stessi.
Me le ricordo tutte quelle voci: dalla torinese di
"Ciappy" e "Fiorellino", al simil-Mal di
"Toriton", dall'avvinnazzatissimo Lino Toffolo di
"Lancillotto 008" all'intellettuale da balera Nico
Fidenco di "Sam, ragazzo del west" o a Castellina Pasi,
reginetta del "lissio" che cantava
"Lupin"…
Io personalmente adoravo le storie d'amore e i vostri cari
"robò" a me non hanno mai significato nulla, troppo
perfetti e superficiali, e drammaticamente noiosi nei loro
atteggiamenti: Mazinga? Tse'! Daltanius? Bahh! Robottino? Beh,
per lo meno era più autoironico…
Avete notato come, quando si parla di sigle di vecchi cartoni, si
tenda sempre a distinguere l'a.C. dal d.C (avanti e dopo
Cristina)? Sembra quasi che il monopolio di Cristina D'Avena
corrisponda alla morte del cartone per chi è cresciuto a Lulu'
& Yattaman.
Le motivazioni sono sempre le solite, i gorgheggi della Cristina,
i suoi jodel sbarbini e i suoi caratteristici atteggiamenti
tenerosi. Tutte balle, che i più tirano fuori giusto per
autoconvincersi, quando la realtà è un'altra: si cresce (posso
aggiungere un purtroppo o sa un po' di disadattato? ).
Avete mai provato a riguardarvi a vent'anni una puntata de
"Il Mago Pancione"? Sì? Allora scommetto che è andata
così: era pomeriggio, stavate facendo zapping fra una
televendita e un film con Jerry Cala' e siete incappati proprio
in un primo piano del mitico mago; incantati avete posato il
telecomando e, scartandovi mentalmente una Girella, il vostro
sguardo si è incollato allo schermo, con le lacrime agli occhi
avete preso coscienza del fatto che la vostra mente da un piccolo
particolare di quella puntata, ha ritirato fuori un sacco di roba
che non ricordavate nemmeno più: gli Exogini, la manina
appiccicosa delle patatine, il Ciocorì bianco che allora si
chiamava Biancorì, quella supplente che vi faceva far sempre
festa, tutte le cose che avevate sepolto nella soffitta del
vostro cervello.
Ok, i ricordi ci sono, ma il cartone non sembra più quello di
una volta: prima era come un incantesimo, non capivamo del tutto
la trama, e portavamo gran rispetto ai personaggi, ci potevano
deludere e conquistare, al pari delle persone vere; adesso invece
sembra essere cambiato molto, la trama è nitida, i personaggi si
vestono davvero di carta, e intanto abbiamo la mente in
background sull'esame della prossima settimana o sulla veranda da
pavimentare.
Siamo rimasti delusi, la prossima volta cambieremo canale, ma non
vogliamo ammetterlo, ci intristisce dire a noi stessi che il
nuovo numero di "Quik" non uscirà mai più in edicola.
E' possibile fare un parallelo fra cartoni e videogiochi in
questo senso, per analizzare ed affrontare la diatriba del
videogiocatore romantico, quello che non smette mai di dire che
"i giochi non sono più quelli di una volta".
Non ho vissuto l'era del Commodore 64 da protagonista, e neppure
quello delle prime console: ce l'avevano i miei amici, quando
potevo scroccavo qualche partita, ma i videogiochi non mi
prendevano più di tanto, a sei anni collezionavo giochi da
tavolo, e quello che per molti di voi ha rappresentato
"Impossible Mission" per me lo è stato
"Brivido" o "Doctor Doctor", quest'ultimo
logicamente degenerava sempre nella sua versione live, quando
l'altro giocatore era la "fidanzatina"…
La mia vera infanzia videoludica è iniziata a dodici anni, con
un IBM PS/1 Famipack, 286 a 10 Mhz e con 1 Mb di Ram, ve lo
ricordate quello col Dos 4.0 che non si poteva cambiare?
I miei primi giochi furono quelli che tutti avevano, i classici
giochilli da commercialisti in dischetti a bassa con l'etichetta
strappata: CD-Man, Rockford e Prince Of Persia.
Il computer fu un regalo di Natale, e già dal Marzo successivo
arricchivo il mio edicolante (che fra l'altro è il
"Pippolino" che bazzica #roxybar) comprando tutte le
riviste di videogiochi per PC di allora (TGM, K, CVG e
VG&CW).
Il mio primo colpo di fulmine digitale fu alla vista delle
immagini dell' "Eye Of The Beholder 2" dei Westwood che
corredavano la recensione sul mitico CVG. Incantesimo.
Riassaporai in un attimo i tempi perduti del "Mago
Pancione".
Fino ad allora avevo copiato tutti i giochi che mi capitavano
sottomano ma di quel titolo dovevo avere l'originale e custodirlo
gelosamente. Non sapevo perché, ma era così, ero incantato da
quelle immagini e di quello che leggevo circa quel gioco:
Khelben, il castello di Darkmoon, Dran Draggore, erano nomi che
mi rimbombavano nell'orecchio continuamente, poiché ormai sapevo
a memoria gli articoli sul titolo, ed era solo un dettaglio il
fatto che ancora non avessi provato il gioco, d'altronde, ora
dico una sciocchezza, l'amore platonico esiste proprio per
questo, no?
Ok, in quel numero di CVG recensivano anche Monkey Island II con
un voto ben più alto, cosa che doveva fare la differenza per
impressionare o meno un "novello PCista", tuttavia non
me lo filai minimamente anche se lo giocai in seguito annoiandomi
di brutto (ho sempre considerato le avventure grafiche, a causa
della loro scarsa interattività, come una versione disonesta dei
laser game).
Finalmente lo comprai, ed EOB II fu assolutamente all'altezza
dell'aspettativa, mi ci volle un casino di tempo per finirlo:
quella stanza nelle catacombe, piena zeppa di Skeleton Lord, mi
dette parecchio da fare, e i due livelli in cui non si poteva
recuperare energia, anche se bisognava vedersela ad ogni angolo
con Margoyle e Giant Ant mi portarono all'abuso di psicofarmaci,
per non parlare delle otto Bulette da affrontare senza armi o
incantesimi (anche se c'era il trucco)…
Naturalmente dovevo avere anche il prequel, e dopo ricerche
estenuanti, riuscii a procurarmi il primo EOB che, essendo fuori
catalogo, dovetti importarlo addirittura dalla Germania; e
comunque era ormai iniziata la mia "sfigatissima" mania
per l'originale: Rolling Ronnie, Abandoned Places, Might &
Magic III, Magic Candle, Gods, Hook, Cool World, Waxworks…
La pila di riviste era cresciuta parecchio, era morto Franco
Lechner in arte Bombolo, in edicola si comprava il telecomando
interattivo e le "Mini-Schifezze" adesive: ormai erano
passati poco più di tre annetti, e mi accorgevo che spesso
compravo e giocavo più per inerzia che per altro, avevo
l'impressione che piano piano i titoli che avevo modo di provare
avevano sempre meno segreti per me, non riuscivo più ad
immergermici come un tempo, se prima ero davvero l'avventuriero
spaesato e spaventato nelle fogne di Waterdeep adesso mi sentivo
fin troppo "padrone" dell'oggetto videogioco, e
comunque iniziavo a sentire un effetto "Mago Pancione
qualche anno dopo" fin troppo precoce.
Tuttavia amavo da impazzire l'effetto deja-vu che mi davano quei
giochi che erano accusati di "non portare nessuna
innovazione al genere", e il primo Dungeon Master per PC,
che provai in contemporanea con EOB3, anche se era uscito
parecchio prima, fu sicuramente il mio secondo grande
invaghimento videoludico, e contando che il terzo e ultimo fu
Dungeon Hack, potete ben capire quanto per me l'innovazione del
motore grafico di Ultima Underword fu un trauma (nonché delizia
per l'Flx).
Comunque non capivo perché non riuscivo a provare più le
emozioni di un tempo, imputavo questa colpa ai titoli che
giocavo, senza accorgermi che il mio inconscio, che non era di
certo all'altezza dei miei buoni sentimenti, già aveva iniziato
a stancarsi di quel qualcosa di già sperimentato e che
quell'infanzia videoludica (ma in piena adolescenza reale)
iniziava a sapere già di muffa, ancor prima che avessi preso
coscienza della possibilità che potesse succedere.
Adesso ho vent'anni, ho la camera piena di videocassette, tutte
rigorosamente originali (ma c'era bisogno di dirlo?), di CD e di
videogiochi, studio Psicologia, ho una mia bella vita sociale, ma
appartengo anche io alla categoria di quelli che non si divertono
più come una volta, beh poco male...
Ma in questo dettaglio sono comunque autocritico, la colpa non è
certo dei giochi di adesso, anche perché sicuramente i
"videogiocatori sentimentali" che iniziano ora la loro
infanzia videoludica, un giorno davanti a Final Fantasy XV
ricorderanno con vera malinconia "i bei tempi andati di
Forsaken".
Non è bello fingere con noi stessi , dobbiamo assumerci la
responsabilità di ammettere che per quanto lo vogliamo (e per
quanto sarebbe bellissimo), è fisiologicamente impossibile
essere Peter Pan, probabilmente il problema non è che le cose di
ora che c'erano anche una volta non siano più belle come a quei
tempi, oppure che noi ci siamo stancati di provarle, il fatto è
che probabilmente, da buoni romantici (per i pochi che lo sono
stati naturalmente), ci siamo affezionati troppo a quella
dimensione magica che è l'essere bambini, e sapere che quello
che vediamo in TV non è contenuto dentro al televisore, non è
proprio una bella cosa per chi fino al giorno prima non si era
mai posto il problema di continuare o meno a sognare.
E non ci sono vecchi giochi riproposti in edicola, episodi di
Hazard, letture di vecchi Slurp e le figurine del Paninaro che
tappezzavano la bici, a restituirci il vero sapore di quei
momenti in cui la colonna sonora dei compleanni dei compagni di
classe era il primo album del Gabibbo (quello con "Pesto, ti
pesto") o "Touch me" di Samantha Fox per chi già,
forse, sognava di uscire dall'incantesimo.
Personalmente adesso, l'unica cosa che mi unisce (ma del tutto
simbolicamente) a quel periodo è la lettura di Alan Ford , la
sola cosa che mi accompagna regolarmente da quando avevo cinque
anni, e confesso che vedere la fine di questa serie sarebbe anche
questo un piccolo trauma. No, non credo di essere un disadattato
o forse lo sono e non me ne accorgo, mi sento solo un po' un
sentimentale globale, o un ipocrita materialista se volete, anche
adesso ci sono tante belle cose che fra dieci anni ricorderò con
affetto, ma questo non mi impedisce di lanciare un dolce sguardo
malinconico al passato: persone, luoghi, cose e momenti.
Tornando ai cartoni (la disorganicità è un mio forte), è utile
fare un parallelismo per spiegare veramente come è andata
davvero fra noi e "le cose": io stesso, avendo
vent'anni, ho vissuto i cartoni fino alle prime sigle di Cristina
D'Avena, infatti ricordo Georgie, Creamy e Nanà con tenerezza e
positiva nostalgia (non mi sono lasciato sfuggire le raccolte su
CD di queste sigle); poi, ed è questa la cosa strana, mi viene
quasi da dire, parecchio incoerentemente, che "Cristina
D'Avena dopo è peggiorata tantissimo, diciamo da Denver in
poi…", senza accorgermi che quel presunto suo
peggioramento è stato contemporaneo al mio "salto
generazionale".
Ribadisco quindi che non è la 3Dfx che "ha rovinato
tutto", ma sono i romantici del videogioco che non vivono
più le emozioni intense di allora, magari si divertono come
fanno tutti quelli che hanno semplicemente
"videogiocato", ma nulla di più.
E tutte le chattate in IRC con Flx, a rinvangare il passato,
facendo la classifica dei mostri più belli o più scarsi della
trilogia di EOB, e riportando alla memoria le software house che
ora non ci sono più, dalla Krysalis alla Loricel,
dall'Electronic Zoo alla Idea, sono testimonianza di quanto delle
volte, anche senza evidenti difficoltà, si senta a pelle la
difficoltà del "crescere", e non per la poca voglia di
prendersi responsabilità, quanto per la nostalgia di quel vivere
onirico fra solari scoperte e dolci paure.
Ma d'altronde, estremizzando il concetto (e sottolineo
estremizzandolo), cos'era Amici Miei se non la storia di cinque
adulti/bambini e della paura della morte?