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Angelico (Fra Giovanni da Fiesole)
(Vicchio del Mugello, 1387 - Roma, 1455)
Ebbe modo di perfezionarsi nella pittura nel convento
di S. Domenico a Firenze dove entrò con il fratello Benedetto.
Nel 1439 affrescò chiostro e celle del convento di S. Marco in Firenze,
lasciato ai Domenicani da Cosimo il Vecchio de' Medici. Nel 1445, a Roma,
ebbe l'incarico da Eugenio IV di dipingere la cappella del Sacramento
in Vaticano e nel 1448 per commissione di Niccolò V dipinse la cappella
di SS. Stefano e Lorenzo. Nel 1452 divenne priore del convento in cui
era entrato novizio e nel 1453 tornò a Roma dove rimase fino alla morte.
Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva. Nell'arte dell'Angelico si trovano
elementi certamente tratti da tre gruppi artistici fiorenti del primo
Quattrocento: le scuole dei miniatori, le botteghe degli ultimi seguaci
di Giotto e un gruppo di giovani scultori ed architetti (Jacopo della
Quercia e il Ghilberti, Filippo Brunelleschi e il Donatello). Fu un pittore
fecondo di pitture su tavole e su muro, di cui i maggiori e più numerosi
esemplari furono raccolti e conservati a Firenze. La prima opera in cui
si esprime tutta la sua personalità e il talento artistico fu la Madonna
della Stella, facente parte dei tabernacoli del Museo fiorentino di S.
Marco. Inoltre creò: il Giudizio Universale, l'Incoronazione della Vergine,
la Madonna dei Linaioli e la Deposizione dalla Croce. Quest'ultima è l'affermazione
dello spirito naturalistico del Quattrocento, completa e piena espressione
dello stile dell'Angelico. Dal 1436 al 1443 si dedicò ad una serie di
affreschi in cui si nota un'ulteriore maturità espressiva e un sapiente
trattamento del colore. Di questo periodo sono la Trasfigurazione, l'Annunciazione,
Gli Insulti e Gesù, l'Incoronazione della Vergine, la Discesa di Limbo,
il Discorso della Montagna, Orazione dentro l'Oliveto e la Crocefissione,
tutti affreschi dipinti nelle celle del convento di S. Marco. Così l'Angelico
si affermò come il più grande fra gli artisti nel trattare soggetti religiosi
e rimase insuperabile nel rendere visibile tra gli uomini l'essenza del
divino. Alcuni, per le sue doti d'uomo santo e d'artista valente, lo videro
come essere prodigioso e trovarono nella definizione di Beato Angelico,
l'espressione massima per meglio valorizzarlo e meglio definire la sua
arte, connubio di preghiera e arte nel medesimo tempo. E l'originalità
dei suoi capolavori rimase inimitata né seppero tradurla né tanto meno
svilupparla i suoi discepoli a partire da Benozzo Gozzoli e Filippo Lippi.
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